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Dal 1976 incredibilmente vera

TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO DELL’ARCIVESCOVO S.E. MONS. FABIO BERNARDO D’ONORIO

Come ogni anno il nostro Arcivescovo S.E. Mons. Fabio Bernardo D’Onorio ha invitato tutto il popolo di Dio della Chiesa che è in Gaeta e tutti i rappresentanti delle Istituzioni Civili e Militari a partecipare al Te Deum di ringraziamento e alle considerazioni di fine anno che si è tenuto stasera 31 dicembre 2014 nel Santuario della Santissima Annunziata di Gaeta, particolarmente affollato di fedeli ed autorità.
Al termine S.E. l’Arcivescovo, come da tradizione, ha fatto omaggio a tutti i convenuti della pubblicazione del messaggio di fine anno.
Don Antonio Centola ha diretto il coro diocesano che ha cantato, tra l’altro, l’inno Te Deum laudamus, noi ti lodiamo Dio, per ringraziare dell’anno appena trascorso; lo stesso inno che viene cantato anche nella Cappella Sistina ad avvenuta elezione del nuovo Pontefice, prima che si sciolga il conclave, oppure a conclusione di un Concilio.
Da registrare che tutta la funzione è stata particolarmente suggestiva; la guardia d’onore all’altare a cura delle Fiamme Gialle, come avviene sin dall’insediamento del nostro Pastore nel 2007, presenti parimenti il Gonfalone della Città di Gaeta, il Gonfalone della Provincia di Latina e il Tricolore dell’ANC – Associazione Nazionale Carabinieri (Sezione di Formia).
Particolarmente apprezzata l’omelia del nostro Arcivescovo che riportiamo, di seguito, integralmente, e che merita i dovuti approfondimenti e meditazioni.
 
Il Capo Ufficio Stampa
                                       Marcello Caliman diacono
 
TE DEUM 2014
Carissimi tutti, Signor Sindaco di Gaeta e Sindaci delle città della nostra Arcidiocesi,  Autorità civili e militari qui convenute, Mons. Sparagna Vicario Generale, sacerdoti, diaconi, seminaristi, religiosi e religiose, e voi  amati miei fedeli di questa nobile e antica Arcidiocesi di Gaeta.
Introduzione
Ancora vibrano nel cuore di ciascuno le profonde emozioni, le belle aspirazioni d’animo, le dolci sensazioni che solo il Natale sa regalare ad ogni uomo di buona volontà. Ed anche quest’anno la celebrazione   della venuta di Cristo nella nostra carne, ha avuto per ognuno di noi un significato particolare, unico, personalissimo, capace di riempire la vita di quanti, con umiltà e sincerità, cercano il Signore.
Cristo estasi ultima della storia            
Penso che noi tutti  a Natale abbiamo detto: “Credo in Gesù Cristo, figlio di Dio e figlio della nostra storia; credo in Cristo, estasi ultima della nostra vicenda umana”.
Ma, a ben riflettere, questa  vicenda umana non basta a se stessa: lo constatiamo  quotidianamente  sulla nostra pelle. La storia, e la storia di ciascuno di noi, ha bisogno di estasi, ha bisogno cioè di uscire  per andare oltre se stessa.  Nessun uomo  può vivere senza mistero, senza bellezza, senza amore, senza un sogno, senza vera poesia,  senza squisita gratuità, senza quel qualcosa che sfugga alla logica gretta del baratto, del calcolo e del tornaconto.
L’Incarnazione di Gesù, il Natale infatti è la  commemorazione annuale di questo strabiliante evento, è il punto di estasi della storia umana. Gesù è quell’ unica e irrepetibile falla attraverso  la quale entra l’acqua da una altra sorgente, la feritoia attraverso la quale il divino si innesta, come un giovane ramo d’olivo, sul vecchio tronco della terra, il quale miracolosamente riprende a fiorire.
Quella Nascita, quella di Gesù,  è una fessura di luce attraverso la quale la nostra storia prende respiro, allarga le ali e spicca il volo. Il movimento fondamentale del cosmo non è l’ascensione dell’uomo alla conquista del cielo: piuttosto è la discesa di Dio, che conquista la terra facendosi lievito nella massa, sale nella mensa, lampada per i nostri passi.
Quasi una forza di gravità ha attirato Dio dentro il vortice della vita umana,  con una grandiosa forza che ha  nome  amore.  La terra intera gemeva, il mondo si trovava in  un immenso pianto. Ha scritto  bene Ungaretti :”Fa piaga al cuore di Dio la somma del dolore del mondo”. E il Dio che si e’ manifestato a Natale non e’ fortunatamente il dio di Aristotele, il deus qui sub lunaria non curat, un dio che è indifferente a tutto ciò che si muove sotto di lui.  Ecco allora che venne  il giorno in cui  Dio non ha più sopportato, non ha più resistito e ha impugnato il seme di Adamo: è venuto, ha ascoltato il gemito e si è fatto gemito, è divenuto agnello in cui grida tutto il dolore dell’uomo. Ed ecco allora che “nella pienezza dei tempi” come scrive san Paolo, un giorno Dio non ha sopportato più, non ha più resistito alla misera condizione dell’uomo, ed ha preso il seme di Adamo, è venuto, ha ascoltato il gemito e si è fatto gemito, agnello in cui grida il dolore dell’uomo di allora e dell’uomo di sempre.
Nato da Maria
Carissimi, lo sapete?   La nostra fede in Gesù inizia proprio da una nascita: “Io credo in un Bambino, che è il volto perfetto di Dio e il volto alto dell’uomo”. Sicché, carissimi, da Gesù, nato tra noi  e con la stessa carne nostra, noi riceviamo la gioia della santità di ogni vita, dobbiamo riconoscere che la nostra carne è cosa buona perché  Dio l’ha voluta per sé,  e tutti percepiamo   l’emozione di sentire che il divino respira in ogni nostro respiro: “ Dio si fa uomo perché l’uomo diventi  come Dio”,  scrive  con arditezza il grande Agostino, Vescovo di Ippona.
“Nato da Maria Vergine”.  L’umile ragazza di Nazaret, poco più che  una giovinetta, è la nostra terra intatta. Perché mai? Ce lo siamo mai chiesto? Dal tempo della creazione solo in Maria è stato possibile trovare un cuore incapace di odiare, una bontà che sa accogliere tutti, uno sguardo che conserva l’innocenza del suo brillare. In Maria l’umanità diventa vergine di nuovo, uscita nuovamente dalle mani del Creatore. Verginità è un termine che indica, ancor più che integrità fisiologica del corpo della donna, la potenzialità della bellezza, della tenerezza, della creatività, della compassione e gioia, doti e qualità che riesce ad avere la creatura quando si apre a Dio e si lascia da lui abitare.
Maria è Madre e Vergine: ed è così per ogni creatura umana: verginità e maternità  indissolubili.  Noi tutti saremo davvero materni, cioè datori di vita e creatori di un futuro buono per il mondo intero solamente se saremo vergini, diventando custodi del sogno di Dio, quello dell’amore, della  semplicità e della giustizia e non seguendo, mai  e poi mai, la logica del mondo, dell’inganno  e della sopraffazione.
Rivestito di umiltàTitolo Articolo
 
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E proprio di questa umiltà e pochezza il Signore decide di rivestirsi per entrare nella storia: nato da Maria si presenta povero, piccolo, riposto in una mangiatoia e sin dai primi istanti di vita perseguitato e non accolto da molti. Allo stesso tempo però egli viene  riconosciuto da chi ha il  cuore libero e aperto all’azione di Dio, come il Re, come il Figlio di Dio, come il Signore dei signori.
Nel dolce Pargolo Manzoni ci invita a vedere Colui che è rivestito di gloria dall’eternità: “Le forze avverse tremano, al mover del suo ciglio”. Gesù Cristo, lui solo, avrebbe in se stesso redento l’umanità, avrebbe mostrato agli uomini l’altezza della loro dignità. “Riconosci, cristiano, la tua dignità”, ci esorta  papa san Leone Magno. Così, dalla liturgia siamo stati portati dinanzi alla culla di Betlemme, mistero di povertà e grandezza, di silenzio ed esultanza, di intimità e immenso potere e gloria.
…Come è la Chiesa
Non è forse così la Chiesa, cioè la comunità dei credenti? Oggi in modo particolare! Essa ha il volto umile di chi con fiducia vive l’ abbandono nel Signore, eppure è segnata da debolezze e peccati; si veste di tenerezza e conforto per i poveri e gli ultimi, e insieme  viene  sollecitata a non stare lontana e distaccata dagli uomini; si mostra al mondo con tante sue ferite, eppure essa è il corpo di Cristo, rivestita di gloria, madre forte che sa condurre  i propri figli al porto della salvezza.
È in questa Chiesa che siamo stati inseriti col Battesimo.  E’ in questa Chiesa che impariamo a vederne e gustarne le cose belle, il bene fatto e ancora da fare e impariamo ad amarla come si ama una madre. Tutti indistintamente dovremmo costruirla ogni giorno anche con il nostro contributo, piccolo, semplice, ma fondamentale. Come ci mostra  il nostro bel golfo di Gaeta, il mare e’ vasto e potente eppure e’ fatto di tante piccole gocce, così  la Chiesa e’ universale ma non le deve mancare il contributo del bene della nostra goccia personale.  Dicevano gli antichi latini: “Tenebris nigrescunt omnia circum”, “tutte le cose col buio paiono scure”. Il buio, la negatività, la chiusura, così come ci esorta Papa Francesco, vanno abbandonati perché non sono atteggiamenti del cristiano. Il cristiano, pur affrontando le  difficoltà del vivere quotidiano, guarda all’esistenza con positività e soprattutto con gratitudine.
È con questo sentimento di gratitudine e insieme realistico che noi questa sera ci voltiamo verso  l’anno, che tra poche ore diremo trascorso. “La vita fugge, e non s’arresta una ora/  e la morte vien dietro a gran giornate”.  Con questi versi il Petrarca inizia uno dei più bei sonetti della letteratura italiana. Certo la vita fugge inesorabilmente, in quanto il tempo inghiotte tutte le cose segnando la nostra vita come un ineludibile dirigersi verso l’appuntamento ultimo al quale nessuno può sottrarsi per quanto potente, per quanto ricco, per quanto detentore di mezzo mondo. Il tempo è implacabile, è crudele.
Nel tempo, nella storia
            Ogni uomo fa esperienza del tempo anche se ha difficoltà a capire in che cosa consista: E’ famoso il detto di Sant’Agostino: Se nessuno me lo chiede io lo so: se lo dovessi spiegare a chi me lo chiede, non lo so”. Pur sapendo che  tre sono i tempi il passato, il presente e il futuro, tuttavia il tempo sembra sottrarsi a qualunque definizione. Potremmo dire infatti che è una strana realtà in quanto il passato non è più, il futuro non è ancora e non è possibile identificare  il presente nell’istante attuale, perché questo è subito trascorso. Nel momento stesso in cui ci concentriamo nell’istante che stiamo vivendo, quello stesso istante è già trascorso. Esso rimane solo nella nostra memoria ma non ritornerà più come presente. In questo senso il tempo è come il vento: quando ci accorgiamo della sua presenza è già volato ed è già lontano.
Allora non è una novità: il tempo passa e passa per tutti come è giusto che sia, e passa anche per chi non vorrebbe che passasse  a meno che non facciamo come gli oziosi che al bar o lungo il muretto quasi sonnacchiosi passano il tempo aspettando che il tempo passi. Nel dire però che il tempo passa è altrettanto vero, e sembra un paradosso, che il tempo resta! Rimane il tempo: rimane nella storia con le nostre azioni, buone o cattive, resta come responsabilità personale, resta come memoria, resta come presente che ritorna e orienta in qualche misura anche il futuro. Che strano… solo nel tempo, per quanto fugace, vi è l’unica possibilità data all’uomo di agire, di seminare, costruire, condividere, conoscere, ma anche ahimè distruggere, dividere, deludere… in ultima analisi, sprecare nel tempo il tempo. Scriveva bene il poeta Torquato Tasso: “In verità, perduto è tutto il tempo che non si spende in amore”. E non bisogna essere cristiani per credere alla verità di questa affermazione: bisogna essere cristiani però per sentire questa non solo come una bella frase, ma quasi come un comandamento, una missione che il Signore ha affidato a me, a te, a ciascuno di noi per costruire questa società degli uomini. O ami, e ti prodighi in opere di bene, e provi a fare del tuo meglio, oppure hai perso solo tempo e il tempo perso, stai pur certo, non ti verrà ridato. Il tempo, seppur fugace,  è allora tempo prezioso per ben operare! Bella e vera è l’espressione del poeta latino Orazio “E’ grata all’uomo una vecchiaia simile alla giovinezza; dispiace invece quella giovinezza che  assomiglia alla vecchiaia nel far nulla”.
               La Basilica Cattedrale
A te Signore Gesù, padrone del tempo e della storia, rendiamo stasera grazie, per quanto ci hai concesso di fare per il bene di questa chiesa di Gaeta. Il pensiero va anzitutto all’evento grande e solenne della Riapertura di questa Basilica Cattedrale. Restituita in parte alla magnificenza che compete a una così antica e illustre Chiesa, la Basilica è  segno del popolo di Dio, che celebra in comunione i divini misteri, prega il Signore e vive nel mondo quella vita cristiana, che è riflesso dell’incontro con Dio. La Cattedra episcopale, le reliquie dei patroni Erasmo e Marciano, il cero pasquale, ogni pietra  raccontano secoli di fede e di storia di questo nostro territorio:  sono segni esterni  ma  tangibili della vita di una comunità cristiana, che da tempo immemorabile loda e serve il Signore e vive nella società. In questa fede, specie nei momenti di smarrimento e instabilità, troviamo la roccia salda su cui poggiarci, su cui basare l’interpretazione del presente, e immaginare la strada del futuro. Della fede che ci è stata trasmessa, i cui segni nella storia sono sparsi ovunque in questa Città e Diocesi, dobbiamo davvero andare fieri, come cristiani forti e in piedi nel mondo presente, orgogliosi di trovare ancora la forza di seguire il Dio del paradosso! Sì, il Dio del paradosso: perché Dio del perdono sulla vendetta, del dialogo sulla violenza, della vita sulla morte, dell’ordine sul disordine e sul predomino. “La fede è davvero la più alta passione di un uomo. Ci sono forse in ogni generazione molti uomini che non arrivano fino ad essa, ma in verità nessuno va oltre”, scriveva il filosofo danese Kierkegaard. Cristiani dunque in piedi, lo ripeto, in piedi basati su salde radici, su solide fondamenta, sul sacrificio di morte dei nostri Martiri Protettori e soprattutto sulla Resurrezione di Cristo Signore.
uesto vale anche per gli assenti o per gli indifferenti: la città di Gaeta ha recuperato un monumento, che affonda le sue radici nell’VIIQQQ Questo vale anche per gli assenti o per gli indifferenti alle cose religiose: la Città di Gaeta ha recuperato un monumento, che affonda le sue radici nell’VIII° secolo e può esserne orgogliosa di mostrarlo tra i suoi monili più preziosi.  Speriamo pure che al più presto, con il contributo della Conferenza Episcopale Italiana, contributo che proviene anche dal vostro segnare l’8 x°°° destinato alla Chiesa cattolica, si possa restaurare il Campanile della Cattedrale, che è il più bello e armonioso campanile d’Italia, e renderlo così accessibile a tutti fino al terzo piano. E’  pure in programma, con la generosità di Cesare D’Amico, il restauro e riapertura della magnifica chiesa medioevale di San Giovanni a Mare, altro gioiello della Città. Tutto questo sta a significare  che la vita ci è data non perché possiamo adagiarci e sprofondare in una comoda poltrona, ma per esere al lavoro, vigilanti e pronti, per deformata reformare non solo i monumenti ma anche noi stessi.
La Pace di Cristo sia con voi
 
Questo è il  messaggio di coraggio e di speranza, che desidero portare alle Comunità cristiane, che sto visitando in occasione della Visita Pastorale, già conclusa nelle parrocchie di Gaeta, e ancora in corso per il resto della Diocesi. Una Visita pastorale, che vuole  prima di tutto essere ascolto, condivisione, incontro con tutto il bene che c’è nelle nostre parrocchie, e al tempo stesso stimolo verso un’autenticità evangelica sempre più difficile ai nostri giorni  ma al tempo stesso  sempre più urgente, soprattutto a vantaggio e stimolo  di coloro, che a distanza guardano alla Chiesa con curiosità o a volte con diffidenza.
In questa stessa prospettiva si colloca la Lettera Pastorale, che ho voluto indirizzare alla  intera Diocesi: essa è principalmente una riflessione cristiana sulla famiglia. La famiglia vista con gli occhi della nostra fede,  che è luogo di evangelizzazione e piccola chiesa domestica, indiscusso valore anche per le più serie dottrine sociologiche, in quanto definita “cellula fondamentale della società”. Non esiste società equilibrata, specie qui nel nostro Occidente, che non si fondi sul bene non negoziabile della famiglia, nelle sue relazioni vitali, che danno fondamento a ogni retta identità della persona umana. Come Chiesa di Gaeta, ci mettiamo dunque in linea con il magistero di Papa Francesco, che chiede a noi cristiani di spenderci a  sostegno della famiglia lì dove soffre, lì dove è vacillante, lì dove si cerca di menomarla. In un mondo che rincorre una presunta felicità del singolo, trovandosi poi a dover fare i conti con debolezze e fragilità ingestibili, la Chiesa non abbandona la proposta della famiglia, come possibilità di realizzazione di un serio progetto di vita sia per l’uomo che per la donna e per i bambini che nasceranno.
Preghiera costante per le Vocazioni
La vita, ogni vita, è preziosa, è sacra. Non ne siamo padroni, ma custodi riconoscenti, e come tali, siamo chiamati a ben discernere come impegnarla; per che cosa, o meglio per Chi, voliamo vivere? Restare nel limbo degli indecisi, nel numero di quelli che non hanno il coraggio di scegliere un “per sempre”,  significa rinunziare alla possibilità di prendere in mano davvero la propria esistenza e orientarla secondo un progetto d’amore.
Un ringraziamento ancora più lo rivolgo al Signore per il bene profuso su noi e sulla nostra Chiesa in questo anno, ringraziandolo sin d’ora per quanto vorrà donarci anche nel prossimo futuro. Una Chiesa diocesana che esprime vocazioni sacerdotali e religiose, è senza dubbio una Chiesa in salute e una Chiesa benedetta dal Signore. Abbiamo avuto la gioia quest’anno di accogliere nel numero dei seminaristi due nuovi giovani, che saranno impegnati ad Anagni, fino a giugno, nel discernimento della loro vocazione; continuiamo ad avere in seminario 7 studenti teologi di cui quattro istituiti Accoliti nella Solennità di Cristo Re qui in Cattedrale; e qualche giorno fa  nella nostra amata Cattedrale abbiamo visto  don Alessandro essere ordinato diacono, e avremo la gioia di qui a breve di vedere diacono don Mario e poi nell’anno che sta per aprirsi ben tre sacerdoti, don Luca, don Alessandro e don Mario.
Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine” (Mt 28). Questa ricchezza di gioventù, che gioiosa sale  l’altare di Dio, è quanto ho in questi anni custodito meglio che ho potuto, ed è quanto di più prezioso lascio a questa mia cara e amata Arcidiocesi di Gaeta.
Amen, amen!
 
+ Fabio Bernardo D’Onorio ArcivescovoGaeta Arcivescovo omelia

Updated: Gennaio 1, 2015 — 12:06 pm
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